a seguito del Convegno, presentiamo il contributo di Serena Cenni,
in Cultura Commestibile n°419 del 16 ottobre 2021
a seguito del Convegno, presentiamo il contributo di Serena Cenni,
in Cultura Commestibile n°419 del 16 ottobre 2021
La Vita nuova è una storia d’amore, adolescenziale, vagheggiata, sospirata, sofferta, che comincia a 9 anni.
Non facile la prosa della Vita nuova: il pensiero di Dante scorre tra dottrina, immaginifico medievale e cenni poetici propri dei trovadori, inserendo sonetti, canzoni e ballate.
“Dico che quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m’avesse offeso; e chi allora m’avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente ‘Amore’…”, (Cap XI)
Si inseguono nella trattazione annotazioni numeriche e annotazioni cronologiche. Il numero nove, multiplo di tre, numero primo indivisibile, allusivo alla Santissima Trinità, accampa uno spazio matematico ma lo trascende in un significato escatologico.
Anche nella liturgia delle ore, ufficio di monaci e contemplativi, il numero tre scandisce il tempo in una progressione che si moltiplica: ore terza e sesta con cui si conclude la mattina, e l’ora nona che apre la seconda parte della giornata. Nei riti pasquali l’agonia del Venerdì Santo, nell’orto degli ulivi, cade all’ora nona.
“L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puòsimi a pensare di questa cortesissima”. (Cap III)
La Vita nuova può essere un annuncio di sognate identità e conquista di puri sentimenti.
“Da questa visione innanzi cominciò lo mio spirito naturale ad essere impedito ne la sua operazione, però che l’anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima; onde io divenni in picciolo tempo poi di sì fràile e debole condizione, che a molti amici pesava de la mia vista; e molti pieni d’invidia già si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altrui.” (Cap IV)
Nei momenti più sublimi Dante si si sposta sulla ballata a stemperare la durezza dottrinale
“Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore,
e con lui vade a madonna davante,
sì che la scusa mia, la qual tu cante,
ragioni poi con lei lo mio segnore.
Tu vai, ballata, sì cortesemente,
che sanza compagnia
dovresti avere in tutte parti ardire;
ma se tu vuoli andar sicuramente,
retrova l’Amor pria,
ché forse non è bon sanza lui gire.…” (Cap XII)
Versi che anticipano la straordinaria significanza immaginifica della Divina Commedia, in ciascuna delle tre Cantiche.
Ezia Maria Pentericci
“Donne ch’avete intelletto d’amore“. Mi ha sempre accompagnato nella riflessione sul destino e la missione femminile questa espressione, estremamente seducente, con cui Dante esprime il suo pensiero sul mondo femminile, coniugando il termine intelletto con il sentimento d’amore.
Si dà il caso che dei sette dono dello Spirito Santo, uno sia l’intelletto, ovvero la capacità di intelligere nelle vicende e nei sentimenti. Dante è maestro in queste espressioni fortissime, capaci di scuotere indolenza e confusione, per poi imboccare diretta e spianata la strada della conoscenza. Capire questo, la chiave dell’enigma di tanti intrichi, di smarrimenti sentimentali, di “rivedere le stelle” dopo ogni debacle o disavventura. Capire è sempre la dimensione con cui l’anima umana si eleva al di sopra di piccole o meno piccole difficoltà.
Abbiamo pensato di sfogliare la “Vita nuova”, evidenziandone espressioni e metafore, non per una partecipazione alle celebrazioni dantesche del settecentenario, ma perché la consideriamo, per esperienza personale e per esperienza culturale, un testo capace di spiegare fisica e metafisica, in un dialogo serrato, affettuoso e paradigmatico.
“Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia ne li mènimi polsi orribilmente; e tremando, disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi».” (II capitolo)
Straordinaria – almeno ci sembra – l’immagine poetica de “la secretissima camera de lo cuore“. Viene immediato il riferimento al “segreto” di Sant’Agostino, dove si svolgono le più aspre battaglie dell’anima.
Approfondendo la lettura si incontra il concetto di beatitudine spirituale, ovvero lo stato di grazia dell’anima contemplante.
Dante è uomo di profondissima e vasta conoscenza delle fonti e ha alimentato la sua energia di scrittura nell’amore per i testi antichi.
Lo stupore che invade Nausicaa alla vista del naufrago Ulisse ha reso immortale il verso di Omero “E non sembrava figlio d’uomo mortale, ma d’un dio” (Omero, Iliade, XXIV, 258-259).
“D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedèala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di Deo. E avegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire.” (II capitolo)
Ezia Maria Pentericci
Nota: In merito alle “letture” di Dante, segnaliamo la mostra La “Biblioteca” di Dante, fino al 16 gennaio 2022 a Palazzo Corsini a Roma.