“Donne ch’avete intelletto d’amore“. Mi ha sempre accompagnato nella riflessione sul destino e la missione femminile questa espressione, estremamente seducente, con cui Dante esprime il suo pensiero sul mondo femminile, coniugando il termine intelletto con il sentimento d’amore.
Si dà il caso che dei sette dono dello Spirito Santo, uno sia l’intelletto, ovvero la capacità di intelligere nelle vicende e nei sentimenti. Dante è maestro in queste espressioni fortissime, capaci di scuotere indolenza e confusione, per poi imboccare diretta e spianata la strada della conoscenza. Capire questo, la chiave dell’enigma di tanti intrichi, di smarrimenti sentimentali, di “rivedere le stelle” dopo ogni debacle o disavventura. Capire è sempre la dimensione con cui l’anima umana si eleva al di sopra di piccole o meno piccole difficoltà.
Abbiamo pensato di sfogliare la “Vita nuova”, evidenziandone espressioni e metafore, non per una partecipazione alle celebrazioni dantesche del settecentenario, ma perché la consideriamo, per esperienza personale e per esperienza culturale, un testo capace di spiegare fisica e metafisica, in un dialogo serrato, affettuoso e paradigmatico.
“Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare. Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia ne li mènimi polsi orribilmente; e tremando, disse queste parole: «Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi».” (II capitolo)
Straordinaria – almeno ci sembra – l’immagine poetica de “la secretissima camera de lo cuore“. Viene immediato il riferimento al “segreto” di Sant’Agostino, dove si svolgono le più aspre battaglie dell’anima.
Approfondendo la lettura si incontra il concetto di beatitudine spirituale, ovvero lo stato di grazia dell’anima contemplante.
Dante è uomo di profondissima e vasta conoscenza delle fonti e ha alimentato la sua energia di scrittura nell’amore per i testi antichi.
Lo stupore che invade Nausicaa alla vista del naufrago Ulisse ha reso immortale il verso di Omero “E non sembrava figlio d’uomo mortale, ma d’un dio” (Omero, Iliade, XXIV, 258-259).
“D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedèala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di Deo. E avegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale consiglio fosse utile a udire.” (II capitolo)
Ezia Maria Pentericci
Nota: In merito alle “letture” di Dante, segnaliamo la mostra La “Biblioteca” di Dante, fino al 16 gennaio 2022 a Palazzo Corsini a Roma.